Ogni venerdì

(da Ogni venerdì, di Matteo Giudici)


Innamorarsi si può assimilare ad un disturbo dell’attenzione.
Poichè pensi, spesso, sempre, intensamente, a quella persona.
Spesso facendo un cammino che l’altra persona non conosce.
Un cammino nel sogno che pieghiamo affinchè le cose avvengano come ci sembra perfetto, desiderabile, all’insaputa dell’altro. Altro che a volte ci sembra non capisca, ma forse semplicemente o “non è” o “non sa” asincrono al nostro sogno. Questo continuo dedicarsi porta infatti alla creazione di un’immagine, non è detto poi reale, non è detto corrispondete all’oggetto d’amore. Così da poter dire che ci si innamora dell’amore, e casualmente della forma con la quale questo si presenti in quel periodo.
Ci si innamora dell’amore di cui si ha necessità “attraverso” un oggetto d’amore, che può non sapere, tantomeno corrispondere, tantomeno essere adatto.
Se poi la forma ha invece anche un contenuto che sia attivo, cioè che si adatta, che risponde alle parole, all’anima, ai desideri che abbiamo riposto nel sogno, allora l’innamoramento è prorompente, virale, ed incurabile.
Se prendiamo come sentimento archetipo quello tra le braccia della madre, perfetto perchè irrinunciabile irripetibile e non criticabile, se prendiamo quello come misura sconosciuta della felicità, come “inprinting” amoroso, non abbiamo speranza di poter conoscere e capire e curare ogni innamoramento che segua.
Innamorarsi è un sentimento così profondo, irrazionale, inconoscibile, che si può solo cedervi, o forzarne lo spegnimento con una forza uguale e contraria che sposti quell’attenzione su altro di pari livello.

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